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Se mi ami non mi uccidi. Chi ci governa non ci ignori. Sit-in contro i femminicidi e richiesta di politiche anche culturali.

Sit-in dell'8 aprile 2025 al Centro Antivolenza di Villla Lazzaroni al VII Municipio, Roma -ph. Tiziana Savini
Posted: 09/04/2025 alle 2:40 pm   /   by   /   comments (0)

Ieri, martedì 8 aprile 2025, nel nostro Municipio Roma VII, al CAV _ Centro Antiviolenza in Via Tommaso Fortifiocca, dentro Villa Lazzaroni >>qui la carta dei Servizi> si è tenuto un sit-in – senza simboli permettendo un’ampia partecipazione cittadina e di tutte le diverse realtà e associazioni che operano sul nostro territorio – per non dimenticare le ennesime vittime di femminicidio, due in pochissimi giorni, e per chiedere e pretendere politiche atte a fermare questa ecatombe che non rallenta ma anzi aumenta.

Stiamo parlando, tanto per essere chiari (e da vocabolario) di uccisione, eliminazione fisica e annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale da parte essenzialmente di uomini che ritengono la propria compagna, moglie o ex “cosa propria”, deumanizzandola e negandole ogni diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza, alla libertà e alla pura esistenza fuori dal loro controllo.

Questi omicidi specifici sono ormai ripetuti e in aumento anche tra le giovani generazioni di uomini; se ne deduce la necessità anche di una Educazione sentimentale da insegnare nelle scuole.

Qualche dato: solo dal 10 novembre del 2023 – una data-simbolo che corrisponde all’efferato omicidio della giovanissima Giulia Cecchettin, un femminicidio che ha talmente scioccato la pubblica opinione da diventare un case-history per ogni comunicazione, report e discorso sulla violenza contro le donne – ne sono state barbaramente mattate (e perdonate la crudezza dei termini, inevitabile) ancora, e ancora, le più recenti di pochi giorni l’una dall’altra: Sara Campanella, sgozzata a Messina con un colpo fatale alla giugulare e di Ilaria Sula, fatta a pezzi e chiusa in una valigia gettata da un dirupo. Entrambe ventiduenni, entrambe studentesse universitarie”, scrive l’ottima Silvia Grasso in un importante approfondimento sulla Newsletter del 9 aprile di “Wired“; sperando che mentre scriviamo non se ne siano aggiunte altre e il nero elenco non si allunghi ancora.

La Grasso, citando le osservazioni della giornalista Giulia Siviero, ricorda che “in Italia non esiste una banca dati istituzionale, pubblica e completa sui femminicidi”; non solo: se i report Istat sono annuali e vengono pubblicati ogni 25 novembre, ebbene, incomprensibilmente e impropriamente, il Ministero dell’Interno ha ritoccato la frequenza della raccolta dati, che passa da una volta a settimana a una volta ogni tre mesi e, peggio ancora – sottolinea Grasso – senza mai menzionare espressamente il termine “femminicidio“, quasi esercitando una ulteriore forma di “negazionismo”.

Una rimozione che è ideologica per voler negare il fenomeno in quanto peculiare e di genere. Ma perché? In favore di chi? Di quale concetto?

Stiamo assistendo e patendo troppo di sbagliato, retrogrado e falso relativamente a questo grave problema: a partire dalla stessa narrazione che ne fanno istituzioni, singoli politici, forze dell’ordine; e chi si occupa di comunicazione: con una ignoranza e una leggerezza inusitati e irricevibili, quando, per riportare le notizie dei singoli femminicidi, usano locuzioni come: “delitto passionale”, “…per motivi sentimentali…”, “raptus di gelosia” (ma davvero, ancora??!), o facendo indirettamente ricadere qualche colpa sulla vittima suggerendo, più o meno coscientemente, che potrebbe esserle stata fatale la sua “affermazione di indipendenza”. Semplicemente: se ami rispetti, se ami non uccidi.

Infatti, “Se mi ami non mi uccidi”, “Chi ci governa non ci ignori” era scritto sui cartelli dell’iniziativa a cui abbiamo preso parte come singole persone, come donne e uomini e come Comitato di Quartiere.

Scelte (e non scelte) politiche, parole, intere narrazioni si rivelano troppo spesso menzognere, molto pericolose perché portano a depotenziare ogni sforzo ed eventuali azioni per arrestare questa che si è chiaramente palesata come disumana questione sociale, culturale e persino antropologica.

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